In una località a suo tempo individuata nella Riserva Naturale, lontana dai percorsi di visita e ben visibile dall’alto, è stato di recente restaurato (e reso di facile accesso per gli operatori) l’esistente “punto di alimentazione per rapaci”, già da anni attivato allo scopo di fornire cibo aggiuntivo ad alcune specie di uccelli ritenute meritevoli di conservazione.
Il “carnaio” viene rifornito di carcasse particolarmente nel periodo invernale: si tratta in genere di animali deceduti a seguito di incidenti stradali o ferroviari, che vengono recuperati e consegnati al personale della Riserva dal Corpo Forestale Regionale.
L’area è delimitata da un apposito recinto “anti-volpe”. Infatti questo carnivoro (ed altri simili, come ad es. il tasso), di cui non si desidera l’incremento, è tipicamente uno dei primi ad individuare la presenza di animali morti e ad approfittarne per l’alimentazione. Per quanto la presenza dei mammiferi carnivori in genere sia interessante, la collocazione del carnaio è stata prevista all’esclusivo scopo di alimentare determinate specie di uccelli, anche sulla base della specifica normativa esistente a livello europeo.
L’intento mira infatti ad attirare i rapaci anche e soprattutto puntando al possibile ritorno di specie attualmente rare; peraltro avvistate sempre più di frequente nella Riserva o in aree limitrofe.
Un esempio notevole è rappresentato dall’Aquila di mare (Haeliaeetus albicilla): specie nidificante con almeno 12 coppie in Slovenia, circa 25 in Austria e non meno di 135 in Croazia. Questo rapace, di grandi dimensioni e dalla cui presenza storica potrebbe derivare il toponimo di Aquileia, basa buona parte della sua alimentazione sui resti di animali già deceduti, oppure su specie assai abbondanti ed invasive, come è ad esempio il caso del Castorino o Nutria. Nella Riserva Naturale Foce Isonzo l’Aquila di mare è stata osservata almeno nove volte finora, a volte per lunghi periodo di tempo. Il più recente avvistamento risale al 17 novembre 2016, quando un esemplare giovane ha frequentato tanto l’area delle piane di marea della Cona che la vicina Valle Cavanata (Mauro Delogu e Silvano Candotto; Andrea Rocco). Successivamente alcuni soggetti appartenenti a questa importante specie, data per estinta dall’Italia come nidificante negli anni 50’ (ultima riproduzione in Sardegna), sono stati ripetutamente avvistati nella non lontana zona di Caorle, dove sicuramente sono giunti proveniendo da est e quindi transitando grosso modo sull’area costiera del Friuli Venezia Giulia.
La presenza di punti di alimentazione come quello installato all’Isola della Cona, quello ormai storico della RN del Lago di Cornino e quello meno conosciuto della RN dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa, va a creare una importante rete di risorse per rare specie di uccelli, oggetto in passato di persecuzione in quanto ritenuti ingiustamente “nocivi”. Favorendone la più frequente presenza sul nostro territorio se ne auspica il progressivo consolidamento anche a livello nazionale. Tra i più conosciuti ospiti dei carnai è da ricordare il Grifone (Gyps fulvus) che, grazie al progetto di reintroduzione avviato da Fabio Perco negli anni 80’ nel comune di Forgaria sulle pendici del Monte Cuar (attualmente seguito con successo da Fulvio Genero) è ormai una presenza consolidata per la nostra Regione: basti pensare che a fronte di rarissimi soggetti sporadicamente osservati negli anni 70’, oltre 200 uccelli sono stati segnalati, nell’arco di una medesima giornata, negli anni più recenti nel cielo sovrastante il laghetto di Cornino!
Si tratta di una specie difficile, ma non impossibile da ammirare talora, anche a bassa quota, che può sorvolare anche le zone di pianura, specie nei periodi di spostamento postriproduttivo, quando parecchi soggetti esplorano un più vasto territorio, risalendo verso le Alpi dalle isole del Quarnero (principale area di riproduzione) e dalla Dalmazia, per arrivare fino all’Austria ed oltre.
La specie che tra le prime, di solito, utilizza con successo questo tipo di apprestamento è tuttavia un Passeriforme (il più grande!): il Corvo imperiale (Corvus corax), che dalle quote più elevate e dai Balcani, nei recenti anni, si è re-insediato dopo anni di assenza, nidificando anche lungo la costa sul Carso Triestino e Goriziano, tanto sulle pareti calcaree che, più raramente, su alberi ad alto fusto. Come avvenuto non lontano dalle sponde dell’Isonzo presso Isola Morosini, all’interno dei confini dell’area protetta Natura 2000. Non è così raro quindi osservarlo in volo proprio all’Isola della Cona, dove il più delle volte si preannuncia con il suo tipico e profondo gracchiare.
Per citare anche le specie necrofaghe più rare è da ricordare l’Avvoltoio monaco (Aegypius monachus) specie in pericolo a livello europeo ma da tempo del tutto estinta come nidificante in Italia; osservata anche di recente e per diversi anni di seguito anche nella nostra regione, non a caso, nell’area di Forgaria nel Friuli. Questo avvoltoio deve il suo nome al particolare piumaggio bruno scuro ed alla testa in parte pelata e, dove sopravvive numeroso (ad es. nella penisola iberica e in varie zone dell’Asia) può essere uno dei primi necrofagi ad avvicinarsi al cadavere. Infatti con il suo robusto becco è almeno potenzialmente in grado di lacerare la cotenna più spessa, rendendo la carne e le interiora accessibili anche ad altre specie. Appena più frequente nella regione (nella bella stagione) è poi il Capovaccaio, una specie di dimensioni ridotte che assume un caratteristico piumaggio bianco-nero in età adulta. In tal caso si tratta di uno “spazzino” dedito alla pulizia dei residui minori, rappresentati da brandelli di dimensioni ridotte, a volte contesi coi nibbi (bruni o reali che siano): acrobatici rapaci dalla coda forcuta.Di notevole interesse, del resto è stata la recentissima segnalazione nell’area isontiona proprio di un esemplare di Nibbio reale (Milvus milvus): una specie da ritenersi del tutto eccezionale, finora, nelle zone costiere e planiziali.
Ancor più raro, infine, ma doverosamente da ricordare, è il Gipeto (Gypaetus barbatus) l’ultimo ad approfittare dei resti del cadavere in condizioni naturali. Si nutre infatti essenzialmente di ossa quasi del tutto spolpate, anche di dimensioni cospicue, che è in grado di ingoiare, digerendole “in tempo reale” grazie ai potenti succhi gastrici. Se veramente si tratta di ossa lunghe e troppo grandi, per frantumarle e poterne utilizzare i frammenti, si alza in volo e le lascia cadere da una notevole altezza sulle rocce sottostanti, con un comportamento caratteristico che gli ha meritato, storicamente, numerosi soprannomi adeguati nei vari idiomi a livello mondiale. Anche questa specie, a lungo perseguitata, è attualmente oggetto di ambiziosi progetti di reintroduzione, nei quali è coinvolta anche l’Italia, assieme a Francia, Svizzera, Slovenia ed Austria. E’ in quest’ultima nazione che Hans Frey, veterinario dell’Università di Vienna, ha avuto successo nel promuovere la riproduzione di un numero cospicuo di soggetti in cattività, per poi liberare i giovani nati in natura. Una attività che si è potuta realizzare grazie specialmente alla collaborazione di una vasta rete di giardini zoologici a livello internazionale. Curioso che un soggetto dotato di trasmettitore satellitare, alcuni anni fa, abbia sorvolato anche i cieli della Riserva Foce Isonzo nel corso di un suo lungo spostamento tra alpi austriache ed Appennino.
Naturalmente non ci si aspetta la visita di specie così rare all’inizio e, in questa fase “esplorativa” ci si dovrà forse accontentare della visita di qualche gazza, cornacchie e della relativamente diffusa Poiana (Buteo buteo): rapace quest’ultimo di facile osservazione che spesso viene scambiato dai meno esperti per specie più rare e di maggiori dimensioni.
A scapito del nome che porta (da: Aquila pullana = aquila dei polli) questo rapace diurno, non raro nelle nostre aree, si nutre prevalentemente – di norma - di piccoli mammiferi, non disdegnando però le carcasse che, soprattutto nei mesi più freddi, possono rappresentare un’importante risorsa.
Purtroppo le specie necrofaghe (che si nutrono di animali morti, da loro non predati) sono spesso vittime di “saturnismo”, ovvero avvelenamento da piombo. Lo possono assumere indirettamente, nutrendosi di carcasse di animali (spesso grandi mammiferi) abbattuti utilizzando munizioni contenenti questo metallo pesante. A differenza di altri animali gli uccelli hanno infatti uno stomaco particolare, diviso in due parti (ghiandolare e muscolare) che tende proprio a trattenere i frammenti di peso specifico maggiore, anzichè espellerli, allo scopo di accelerare la digestione. Ne consegue che, in particolare le specie necrofaghe, assimilano il piombo molto velocemente, anche se presente nel cibo in piccole dosi andando incontro a debilitazione e morte. Per tali motivi anche il mondo della caccia si sta oggi, gradualmente, convertendo all’utilizzo di munizioni atossiche che, in futuro, potrebbero permettere di praticare la caccia nei confronti degli ungulati in modo ecologicamente sostenibile; senza arrecare danni alla biodiversità o, anzi, contribuendo alla sopravvivenza di specie rare e preziose quali sono appunto gli avvoltoi e, più in generale i grandi rapaci, aquile incluse!